lunedì 7 novembre 2011

Il territorio prima del profitto

Gli alvei dei fiumi, devono essere curati e puliti” affermano dei signori in un servizio al telegiornale.
Una volta ci pensavano gli anziani. E ora?

Il paesaggio. Solo quando ci scappa la tragedia si comincia a parlare, a fare approfondimenti, aprire inchieste, chiamare in tv l'esperto di urbanistica e territorio. E' questo uno dei grandi problemi dell'Italia.
Ma parlare di paesaggio non dev'essere una moda del momento. Perché il paesaggio non è altro da noi: lui vive in noi ma noi in lui.
Lo capisci dallo sguardo di chi coltiva la terra nel mondo e dall'intesa che c'è fra di loro, e tra alcuni amici che ammirano un panorama in montagna, e tra chi arriva con gioia inaspettata in una spiaggia naturale, non artificiale. Ci si riconosce, ci si ritrova e rinnova. Nell'incertezza attuale, dominata da fragili realtà virtuali e da fenomeni di concretezza estrema come alluvioni e frane, il paesaggio deve ritornare al centro delle nostre esistenze, creare valore aggiunto e dialogo, modelli di sviluppo sostenibili. Il paesaggio italiano, il più vario e bello del mondo, è stato umiliato, consumato e compromesso in molti suoi luoghi. Compromesso da incuria, ignoranza e avidità. La sua salvaguardia era vista come elemento di freno rispetto a una crescita economica che sembrava dovesse essere inarrestabile. Oggi la crisi ci può dare coscienza della situazione. Ogni giorno in Italia vengono cementificati 130 ettari di terreno fertile. Sviluppo necessario? Non sempre, visto il gran numero di aree dismesse sono destinate a restare inutilizzate. La Germania si è ripromessa di dimezzare i 60 ettari consumati ogni giorno. In Gran Bretagna la legge obbliga a costruire per il 60 per cento su «brownfield sites» (aree già edificate). Da noi i comuni hanno la licenza di svendere il territorio: con gli incassi si tamponano le falle nei bilanci. Prevale un’architettura ripetitiva che non ha a che fare con la qualità, i centri commerciali divorano quantità incredibili di terreno agricolo, le periferie sono tra le più degradate d'Europa.
Noi siamo in Trentino e forse non ce ne accorgiamo più di tanto, anche perché esistono numerosi enti per la tutela del territorio. Ma la responsabilità è di tutti.
Concludo citando Indro Montanelli che nel 2001, pochi mesi prima di morire, scriveva sulla questione della speculazione edilizia nella Riviera Ligure, scriveva: «nella distruzione della vostra Riviera è responsabile tutta la vostra classe dirigente, non soltanto quella politica. Ne sono responsabili quella imprenditoriale, quella finanziaria, quella mercantile, quella alberghiera. Tutti. Tutti, anche il cosiddetto uomo della strada: tutti abbacinati dall`irruzione dei cantieri, fabbriche di miliardi e di posti di lavoro; dalla speculazione edilizia che prenderà d`assalto il promontorio dando agl`indigeni la grande occasione di arricchirsi con un orto. Che pacchia! Una pacchia che durerà sei, sette, dieci anni, per poi ridurre questo angolo d'immeritato paradiso alla solita colata di cemento e di asfalto».
T.G

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