lunedì 14 novembre 2011

Mario Monti. La sobria spregiudicatezza.


Finiscono così, forse nemmeno troppo rumorosamente, i diciassette anni in cui si sono alternati diversi governi presieduti da Berlusconi. I brindisi fatti per l'occasione delle dimissioni non ci hanno però aiutato a condividere quella sbronza liberatoria che tanto sognavamo; già troppo attento al domani era il nostro occhio e cauto nel gioire il nostro animo. Certo è che la festa sarebbe stata molto più allegra e spensierata se la situazione che ci circonda ce l'avesse permesso. Purtroppo, però, viviamo questo triste presente e, come se non bastasse, osserviamo avvicinarsi un futuro fatto di ulteriori sacrifici. L'importante resta non accogliere chi ci strappa denaro e diritti come se questa fosse una necessità a cui in nessun modo ci si può opporre, come se l'austerità impostaci fosse l'unica dura e cruda possibilità da sopportare se vogliamo uscire da questa crisi. Non dobbiamo assolutamente appiattirci su questa posizione sostenuta trasversalmente da forze politiche e media, ormai espressione di un reale pensiero unico, che si rende disponibile ad accettare ricatti e privazioni poiché, tanto ormai, la dignità, persa con Berlusconi, ci appartiene nuovamente. E' necessario far capire come la dignità non abbia a che fare solamente con il malcostume, ma che questa venga compromessa in egual misura quanto ci si rende disponibili a subire devastazioni approvate sulla propria testa. Rivendichiamo, quindi, e continuiamo a proporci in quel ruolo di costruttori di un'alternativa, che, dobbiamo ripeterlo fino alla nausea, non coincide con l'alternanza parlamentare, in un momento in cui destra e sinistra sarebbero entrambe schiave di una dittatura finanziaria.
Se è vero che ora stiamo assistendo al tramonto dell'uomo politico Silvio Berlusconi, è anche vero che il berlusconismo, quella subcultura che ha conquistato un intero paese negli ultimi vent'anni, durerà ancora. Una presenza meno asfissiante del suo guru potrebbe però essere il motivo di una sua più celere scomparsa. Tutti quei beceri dispositivi pseudoculturali messi in atto al fine di legittimare tanto comportamenti quanto politiche berlusconiane sono ora destinati a morire sotto il peso della realtà.
Proprio così, la realtà sconfiggerà le illusioni.
Il professor Monti si prepara infatti a giocare un preciso ruolo politico in un Paese in cui, come qualcuno ha già detto, il liberismo si è ora liberato dal populismo. Il potere delle banche si esprime con un suo candidato in modo diretto ed inequivocabile. Confidiamo dunque in quella parte di popolazione italiana rimasta finora vittima del sogno “made in Italy”, affinché inizi ad avere coscienza delle proprie condizioni socio-economiche. Ragioniamo quindi sulla figura di Monti.
Da subito, fin dal primo momento in cui è stato nominato, i media hanno riposto la loro fiducia in SuperMario, per poi continuare crogiolandosi nella gioia della fine di Berlusconi, e su quanto fosse bravo Napolitano e quanto fosse sobrio e garbato Monti.
Uscendo dalle reti dei media fa pensare la dinamica per cui moltissimi italiani abbiano esultato al sentire che un economista avrebbe governato il nostro Paese. Fa riflettere perché è sintomatico della pigrizia, se non dell'incapacità mentale di molti nel leggere una minima complessità nella realtà. Che significa essere economisti?
Essere economisti basta a governare bene un Paese? Essere idraulici o muratori è una certezza di non lasciare mai scontenti i propri clienti?
Insomma come ci sono idraulici o muratori che fanno bene o male il loro mestiere, così ci sono pure gli economisti. Ed entrambi si giudicano dal proprio operato. Sicuro è che non ci è difficile immaginare come possa essere il lavoro che si appresta a fare il Monti.
Quest'uomo, presidente della Bocconi dal 1994, che elogia Gelmini e Marchionne (così iniziamo a capirci!) è anche International Advisor di Goldman Sachs (per la quale, ricordiamolo, hanno lavorato pure Romano Prodi, Mario Draghi e Gianni Letta) oltre che parte dell'advisory board di Coca Cola Company; è inoltre presidente europeo della Commissione Trilaterale (gruppo di interesse neoliberista fondato nel 1973 da David Rockefeller) e membro del comitato direttivo del Gruppo Bilderberg (club di personalità influenti in campo economico e politico che si incontrano in resort di lusso a discutere in modo chiuso a pubblico e media di problematiche globali). Nel curriculum di Monti vi è pure il ruolo di primo presidente del “Bruegel”, think-thank finanziato da 16 Stati membri dell'UE e 28 multinazionali.
Possiamo dunque dire con certezza che la finanza entra direttamente con un suo uomo nel gioco politico italiano; il neo-liberismo si mostra così senza veli a tutti, nella sua bruttezza ed arroganza.
La partita ora sarà veramente dura, ma almeno nel campo di battaglia non c'è più il pagliaccio che tanto distraeva dal vero obiettivo.


(Stefano Turrini)

sabato 12 novembre 2011

Lega, all'opposizione per rigenerarsi?

"La Lega starà all'opposizione". Parola di Roberto Maroni, che si pronuncia così riguardo la possibilità di un governo Monti. Non piace la candidatura di Mario Monti ai vertici leghisti, che addirittura proponevano(senza troppa convinzione) Lamberto Dini alla guida d'un esecutivo tecnico, e che preferirebbero il voto. Le ragioni del rifiuto di stare al governo, e nella maggioranza, in caso di governo Monti, potrebbero estendersi oltre il considerare inadeguato aper il ruolo di premier l'ex commissario europeo. Il partito di Bossi, infatti, potrebbe puntare a passare un periodo di "rigenerazione" all'opposizione per recuperare i consensi perduti nei tre anni di governo.


La Lega ha sempre raccolto moltissimi consensi nei periodi passati all'opposizione, rispetto quelli passati al governo. Il fenomeno è facilmente spiegabile: il Carroccio è un partito che si basa sulle parole, le promesse, i proclami. Mai o poco sui fatti. Da anni si ripropone come unico partito capace di risolvere gli stessi identici problemi di sempre, come immigrazione e federalismo(e quello più fantasioso della secessione), e nonostante abbia speso quasi dieci anni al governo, non è mai stata capace di risolverne uno. Tanti proclami, pochi pochissimi fatti. Difficilmente i problemi non son stati risolti per incapacità o impossibilità, ma piuttosto non si vogliono risolvere. Se già nel primo governo Berlusconi, la Lega avesse risolto il problema degli immigrati, di "Roma ladrona", del federalismo, adesso non avrebbe ragione di esistere come forza politica. 
La strategia leghista è chiara, ogni volta si da vita allo stesso programma, che puntualmente non viene mai realizzato, in modo che lo si possa riproporre sine die.


Per questo la Lega perde consensi quando è al governo, perchè gli elettori si accorgono che il programma non viene mai rispettato e applicato. Ma gli stessi elettori hanno anche la memoria corta, e ogni volta al momento del voto si scordano degli anni di infruttuoso governo leghista, e rispondono pronti ai soliti proclami leghisti. La fine della Lega sarebbe applicare realmente il proprio(discutibile) programma perchè non avrebbe altre "battaglie" da combattere, altre idee da proporre, niente con cui alimentare i deliri del popolo leghista. Persino negli ultimi tre anni di governo si può notare come il linguaggio leghista sia sempre simile a quello di una qualsiasi forza di opposizione, fatto di minacce di far cadere governi su governi e sparate populiste. E se poi va male, semplicemente si scarica la colpa sugli alleati, incapaci di dar vita al progetto leghista, e si riparte da capo, con gli stessi alleati e le stesse promesse.


E' probabile allora che la Lega cerchi la via dell'opposizione per ritrovare il consenso perduto in uno dei peggiori governi di 150 anni di storia italiana. E ancora una volta dovremmo subirci le dichiarazioni, al limite del delirio, di Bossi che promette di buttare fuori tutti i rom e i clandestini, e fantastica sulla secessione padana financo promettendo di aver pronti "migliaia di fucili" per la rivoluzione contro "Roma ladrona". Ma forse questo è solo lo stano modo del senatur di dimostrare affetto verso le poltrone romane, in fondo tanto care al partito leghista. (am)

venerdì 11 novembre 2011

Tra governo tecnico e elezioni

Si dimetterà domenica. Così dice, così si spera. Diciassette anni di berlusconismo che hanno avuto come risultato il degrado della politica, l'impoverimento culturale e il bavaglio dell'informazione. Nessuna rivoluzione liberale, nessuna legge degna di nota(quella antifumo e la patente a punti unici risultati), nessun miracolo, e nessun abbassamento delle tasse. Niente di niente per il "governo del fare".


Dopo domenica sapremo di più sul futuro italiano. Intanto impazza il toto-premier, i giornali pullulano di nomi di possibili candidati a guidare un governo "tecnico" che ci porti fuori dalla crisi, alternativa le elezioni. Nomi talvolta assurdi, talvolta prevedibili. Ancora giorni fa, prima delle dimissioni di B, il fatto riportava la notizia di Lotito, "pronto a intervenire per il bene del Paese". Di balle così ce ne han raccontate a bizzeffe. A parte la presunzione, la candidatura di Lotito fa sorridere, è semplicemente ridicola. Si è parlato poi di Letta(Gianni), ancora prima di Draghi, e quindi di Alfano. Un governo Alfano riuscirebbe a superare in ridicolo persino un governo Lotito. La scelta ultima è Mario Monti. Una figura che sembra uscita dal nulla, ma che invece vanta un curriculum encomiabile, o quasi. Rettore e poi Presidente della Bocconi, quindi commissario europeo, sia con Berlusconi che con D'Alema(allora si che c'è da fidarsi). Tuttavia è anche advisor di Goldman Sachs e Coca Cola company, presidente europeo della Commissione Trilaterale, fondata da Rockefeller, e membro del comitato direttivo del gruppo Bilderberg. 


Prescindendo dalla carriera del neo senatore a vita, e soffermandoci solo sul prestigio internazionale di cui gode, la scelta di indicarlo come capo di un governo tecnico, a prima vista sembra azzeccata. Il problema è mettere d'accordo tutte le parti(i partiti) per una grande alleanza. In realtà il problema si estende ben più in là. Come si fa a pensare che un esecutivo, seppur condotto da un "tecnico" come Monti, possa essere retto con questa maggioranza Pdl, seppur allargata da Pd e terzo Polo. O meglio, anche se cambiasse l'esecutivo gli uomini, i parlamentari, rimarrebbero gli stessi. Gli stessi che non son riusciti a fare niente in tre anni di governo. Essendo ancora in democrazia e quindi difficile pensare che qualsiasi misura Monti metta in atto trovi un riscontro positivo in parlamento, con o senza una maggioranza allargata. Berlusconi ha inoltre detto oggi che il Pdl ha diritto di scegliere il programma di un eventuale governo tecnico, di fatto limitando di molto le possibilità di Monti, e vorrebbe Letta vice premier. Berlusconi non darà vita facile a Monti, questo è sicuro. La Lega nemmeno, starà all'opposizione, lì dove raccoglie più consensi(senza dover tramutare in fatti i propri proclami), o propone Dini premier(sarebbe davvero la fine). L'Idv vuole le elezioni, ma gli elettori chiedono a Di Pietro di cambiare idea. Il Pd appoggia Monti(ma non ne sono tutti convinti, specialmente la base del partito), Fli e Udc pure. Un'altra alternativa la propone Vendola, governo Monti per alcuni mesi, tempo di varare i portanti provvedimenti economici e poi il voto. Ecco magari l'ultima idea non è tanto male, magari ci si aggiunge una legge elettorale, si fa lavorare i parlamentari un pò di più per approvare tutto in tempo, a gennaio si torna alle urne, e la parola torna ai cittadini. Stufi di avere i ristoranti pieni e il frigo vuoto. (am)

lunedì 7 novembre 2011

Alternativa e Cambiamento

RIFLESSIONI ATTORNO AL CAMBIAMENTO E ALL'ALTERNATIVA.
APPUNTAMENTI DI NOVEMBRE

Finalmente si sta facendo strada la consapevolezza che dalla crisi si può uscire solamente facendo affidamento ad un'alternativa escludente di tutte quelle politiche devastanti ed inutili messe in atto da chi ci governa. Anche chi fin'ora è stato restio a riflettere su ragionamenti minimamente estranei al pensiero unico trasmesso dai media viene infatti influenzato da discorsi nuovi.
Siamo quindi felici di osservare in Italia, ma non solo, come la volontà di mobilitarsi cresca in maniera direttamente proporzionale al disastro economico e politico in atto.
Giornata imprescindibile a livello mondiale che, con la sua grandissima partecipazione, ha dato una spinta in più a chi è deciso a lottare per un cambiamento, è stata il 15 ottobre. Una data, questa, che, nonostante abbia fatto nascere tante polemiche, non ha spento quella voglia di continuare in quel progetto di conquista di un futuro migliore. Ce ne danno conferma le ultime giornate: l'esperienza degli studenti triestini e di quelli romani, decisi a superare i divieti, ci offrono la consapevolezza di poter affermare come la voglia di mettersi in gioco ci sia e che sia tanta.
Dobbiamo continuare così, dobbiamo parlare di democrazia, di partecipazione, di beni comuni; dobbiamo affermare come un'alternativa sia più che possibile, anzi dobbiamo convincere tutti/e di quanto questa sia necessaria.
Siamo obbligati a far entrare di prepotenza il concetto della dignità nel ragionamento pubblico: questa è, infatti, la principale chiave di lettura per comprendere che tutto ciò a cui stiamo assistendo è un offesa a noi, intesi sia come singoli soggetti che come collettività.
E' prima di tutto nel rispetto della nostra persona, della nostra intelligenza, il motivo per cui dobbiamo dire basta allo schifo che ci circonda!
Serve un'inversione di rotta. Non possiamo più sostenere una tale situazione: viviamo con un Governo vicino alla sua fine mentre continuano a dirci che l'unico modo di uscire dalla crisi sia quello dell'austerità, quel maledetto cavallo di battaglia di chi non si fa scrupolo nel demolire ulteriormente una democrazia già svuotata e scavalcata da una dittatura economico-finanziaria che penetra all'interno degli Stati obbligandoli alle sue condizioni. Alla faccia della grandiosa esperienza referendaria italiana del 12 e 13 giugno scorsi, che ha fatto prevalere la volontà di escludere l'acqua dalle logiche di mercato, ci vengono imposte privatizzazioni, vengono poi operati tagli alla scuola pubblica e alla sanità, considerate come spese inutili e si cancellano i diritti dei lavoratori: tutte politiche volte a creare una situazione di precarietà esistenziale.
Non c'è da meravigliarsi quindi se l'istituto della democrazia rappresentativa perde consensi a vista d'occhio portando il 23% degli italiani ad equipararlo con un sistema autoritario (fonte Demos).
Questo è ciò che abbiamo davanti; però, questa volta, la medaglia ha un'altra faccia: c'è la presenza di un'alternativa. Stiamo parlando di quella voglia di riprendersi il futuro, quella volontà di ritornare ad essere protagonisti delle proprie vite, di quella forza nuova e viva che ha fatto sbocciare la primavera in Nord Africa, di quella rabbia che più volte ha infiammato l'Europa, di quella voglia di lottare che sta costruendo su entrambe le sponde dell'Atlantico il movimento dell'indignazione.
La partecipazione prima di tutto e tutto prima del profitto. Questo è il linguaggio di chi, contrapponendosi a quelle entità che decidono sopra la nostre teste, vuole riappropriarsi di quel ruolo di protagonista della sua esistenza contribuendo alla costruzione di un nuovo attore collettivo sulla scena mondiale. Siamo il 99%, quindi adelante compañeros!

Ci aspetta un novembre ricco di appuntamenti. L'11.11.11, giornata proposta a livello mondiale dalla rete degli indignados americani di Occupy Wall Street saremo nelle strade di Trento, come in ogni altra città d'Italia, in nome dell'alternativa. Affermeremo come il denaro utilizzato per operare speculazioni e costruire grandi opere sia ben più utile al rafforzamento del welfare state e rivendicheremo la necessità di un reddito di cittadinanza da destinare a chi vive la precarietà e la disoccupazione. Affermeremo, inoltre, come debba essere la dimensione collettiva ad assumere centralità, per questo pretendiamo che le risorse atte a finanziare istituti privati e ricerche finalizzate agli interessi delle multinazionali siano dirottate al fine di rendere nuovamente viva la scuola pubblica. Proprio per questo l'altra data che ci ritroverà impegnati sarà quella del 17 novembre: la giornata mondiale dello studente. Altro importante appuntamento sarà anche quello del 26 novembre quando saremo in piazza per l'acqua, i beni comuni e la democrazia chiedendo il rispetto dell'esito referendario proponendo un'uscita alternativa alla crisi.

Il territorio prima del profitto

Gli alvei dei fiumi, devono essere curati e puliti” affermano dei signori in un servizio al telegiornale.
Una volta ci pensavano gli anziani. E ora?

Il paesaggio. Solo quando ci scappa la tragedia si comincia a parlare, a fare approfondimenti, aprire inchieste, chiamare in tv l'esperto di urbanistica e territorio. E' questo uno dei grandi problemi dell'Italia.
Ma parlare di paesaggio non dev'essere una moda del momento. Perché il paesaggio non è altro da noi: lui vive in noi ma noi in lui.
Lo capisci dallo sguardo di chi coltiva la terra nel mondo e dall'intesa che c'è fra di loro, e tra alcuni amici che ammirano un panorama in montagna, e tra chi arriva con gioia inaspettata in una spiaggia naturale, non artificiale. Ci si riconosce, ci si ritrova e rinnova. Nell'incertezza attuale, dominata da fragili realtà virtuali e da fenomeni di concretezza estrema come alluvioni e frane, il paesaggio deve ritornare al centro delle nostre esistenze, creare valore aggiunto e dialogo, modelli di sviluppo sostenibili. Il paesaggio italiano, il più vario e bello del mondo, è stato umiliato, consumato e compromesso in molti suoi luoghi. Compromesso da incuria, ignoranza e avidità. La sua salvaguardia era vista come elemento di freno rispetto a una crescita economica che sembrava dovesse essere inarrestabile. Oggi la crisi ci può dare coscienza della situazione. Ogni giorno in Italia vengono cementificati 130 ettari di terreno fertile. Sviluppo necessario? Non sempre, visto il gran numero di aree dismesse sono destinate a restare inutilizzate. La Germania si è ripromessa di dimezzare i 60 ettari consumati ogni giorno. In Gran Bretagna la legge obbliga a costruire per il 60 per cento su «brownfield sites» (aree già edificate). Da noi i comuni hanno la licenza di svendere il territorio: con gli incassi si tamponano le falle nei bilanci. Prevale un’architettura ripetitiva che non ha a che fare con la qualità, i centri commerciali divorano quantità incredibili di terreno agricolo, le periferie sono tra le più degradate d'Europa.
Noi siamo in Trentino e forse non ce ne accorgiamo più di tanto, anche perché esistono numerosi enti per la tutela del territorio. Ma la responsabilità è di tutti.
Concludo citando Indro Montanelli che nel 2001, pochi mesi prima di morire, scriveva sulla questione della speculazione edilizia nella Riviera Ligure, scriveva: «nella distruzione della vostra Riviera è responsabile tutta la vostra classe dirigente, non soltanto quella politica. Ne sono responsabili quella imprenditoriale, quella finanziaria, quella mercantile, quella alberghiera. Tutti. Tutti, anche il cosiddetto uomo della strada: tutti abbacinati dall`irruzione dei cantieri, fabbriche di miliardi e di posti di lavoro; dalla speculazione edilizia che prenderà d`assalto il promontorio dando agl`indigeni la grande occasione di arricchirsi con un orto. Che pacchia! Una pacchia che durerà sei, sette, dieci anni, per poi ridurre questo angolo d'immeritato paradiso alla solita colata di cemento e di asfalto».
T.G

La dignità è nelle strade

In queste ore stiamo assistendo ad una bellissima esperienza di condivisione e solidarietà. Per le strade di Genova stanno operando, e continueranno a farlo anche nei prossimi giorni, moltissime persone. 
La gente è scesa nelle strade per attivarsi con lo scopo di ripulire la propria città coperta dal fango in modo da farla tornare a respirare. Ognuno qui è utile; con le proprie mani e con il proprio bagaglio di conoscenze chiunque può mettersi a disposizione della collettività dando vita a una magnifica concretizzazione dei rapporti di solidarietà tra gli individui. 
Le strade di Genova si stanno riempiendo di dignità, quella parola tanto sentita, tante volte letta, spesso svuotata del suo significato, che in questa tragica circostanza si esprime in tutta la sua forza. La dignità esce così allo scoperto, supera i singoli interessi e opera per il bene di tutti rivendicando quel ruolo da protagonista che gli spetterebbe nel mondo delle relazioni umane. 
Non possiamo permettere che questa magnifica capacità umana si esprima solamente in modo proporzionale alla drammaticità di un evento! Dobbiamo essere capaci di costruire forti legami di solidarietà tra gli individui, ponendo finalmente la dignità in quella posizione centrale che dovrebbe sempre rivestire, e che dovrà sicuramente assumere in qualsivoglia progetto di alternativa.

giovedì 3 novembre 2011

Lega la Lega. Supera i confini.





Presentiamo di seguito uno scritto prodotto da uno studente roveretano durante la mobilitazione cittadina contro il Giro di Padania svoltosi lo scorso settembre. Il testo, breve, disordinato, ma ricco di spunti di riflessione, viene pubblicato per la prima volta on line al fine di renderlo disponibile a chi interessasse e perché è stata quell'occasione di mobilitazione a porre il seme che ha fatto germogliare shout!.




Fischiettando allegramente stornelli popolari di inizio Novecento...
“Nostra Patria è il mondo intero, nostra legge è la libertà ed un pensiero ribelle in
cor ci sta”
E' noto che tra coloro che si stanno mobilitando contro il giro della padania
sono molteplici le motivazioni che spingono all'indignazione.
E' buona cosa che vi siano diverse modalità di approcciarsi alla questione in
modo da rendere il più arricchente possibile il dibattito pubblico.
Credo però che vi siano delle posizioni, espresse pure in assemblea, su cui
sarebbe opportuno costruire una discussione.
Mi riferisco a coloro che disapprovando il Giro, la retorica secessionista e gli
annessi deliranti discorsi leghisti portatori dell'idea di una presunta identità
padana, contrappongono a questa, come alternativa, un'altra identità; sia essa
quella della trentinità (pensiamo al PATT) o della italianità esasperata.
E' vero che viviamo in Trentino, ed è anche fuori di dubbio che la nostra
Repubblica è quella italiana, ma in un mondo ormai globalizzato ed
interdipendente dobbiamo riprendere seriamente in considerazione che la
nostra Patria è il Mondo Intero.
Potrebbe sembrare un affermazione idealista, utopica e un po' nostalgica di
un fallito internazionalismo socialista novecentesco, ma, se ci pensiamo
bene, non è proprio quello che sta avvenendo a partire dall'ultimo decennio
dello scorso secolo?
Con la globalizzazione gli stati hanno l'esigenza di collaborare tra di loro se
vogliono sopravvivere.
I governi nazionali hanno infatti sempre meno poteri e vanno perdendo
sovranità delegando ampi spazi decisionali ad organi internazionali e/o
soprannazionali cercando così di rimanere a galla in un processo di
globalizzazione economica che non riescono più a controllare singolarmente.
Si aggiunga anche che le frontiere nazionali non esistono praticamente più.
Il capitale può viaggiare ovunque senza problemi, senza controlli, senza
tassazioni perché i deboli governi nazionali non hanno abbastanza forza per
mettervi dei paletti.
L'economia mondiale ha quindi vinto sulla politica nazionale, ma purtroppo
quest'ultima interviene ancora in materia di controllo dei corpi (CPT-CIE-CARA)
e dei flussi migratori.
Bella cosa la libertà liberista: libertà di movimento per il capitale, ma non per le
persone!
Ma quindi, se è la stessa globalizzazione a costruire un mondo che, almeno
in parte, scavalca i confini, dove sta il problema? Perché dico che noi
dobbiamo pensare il mondo intero come nostra patria?
Perché i fondamenti su cui vogliamo fondata una comunità mondiale non
sono certo quelli del profitto, bensì quelli della solidarietà.
Ed è proprio attraverso la solidarietà internazionale e non attraverso la
secessione, come qualcun altro vuole, che si crea un'alternativa al mondo
dell'economia del guadagno.
La soluzione non sta nel rinchiudersi ognuno nel suo piccolo, per quanto
grande, praticello (padania, Trentino, Euregio, Italia...) e non interessarsi di
ciò che ci circonda; perché ciò che ci circonda si interessa di noi.
Ecco perché, soprattutto tra i giovani, cosmopoliti e istruiti (?), credo, ma mi
rammarico sia in troppi casi il contrario, non possa avere più spazio il
discorso identitario.
Ecco perché credo che il Giro della padania debba essere contestato sul piano
dell'antirazzismo e delle responsabilità di governo e non contrapponendosi
ad esso in nome dell'appartenenza ad un'altra identità territoriale, culturale,
linguistica che sia, costituendo una logica che in passato, lo sappiamo, ha
fatto tanti guai.